Ogni mattina, in Italia, un consulente finanziario si alza sapendo d’incontrare un risparmiatore che gli parlerà del tasso e che cullerà il desiderio di incassare una “giusta” remunerazione per la sua decisione di investire denaro.
Ogni mattina, allo stesso modo, un risparmiatore dovrebbe incontrare un consulente finanziario in grado di spiegargli – in modo semplice ma estremamente efficace – da cosa dipendono i tassi di interesse, quali sono le componenti che ne influenzano il livello.
Questa consapevolezza si rende del tutto necessaria, alla luce delle aspettative fuori range che spesso gli italiani covano. Secondo una survey di Schroders (Global Investor Study, 2017), il rendimento atteso dei nostri concittadini è pari al 7,1%; curiosamente, per conseguirlo, quasi il 60% “non intende effettuare investimenti particolarmente rischiosi” e quasi il 50% ha incrementato la liquidità rispetto al passato.
Con queste premesse, direte voi, trasferire consapevolezza è missione impossibile. Proviamoci ugualmente, proponendo una chiave di lettura che possa risultare più chiara possibile anche agli investitori non professionali.
Per farlo, possiamo pensare al rendimento offerto ad ogni prestatore (sia egli un correntista, un depositante o il detentore di un titolo obbligazionario) come ad una semplice costruzione di Lego.
Immaginiamo dei mattoncini, in particolare due, ciascuno dei quali contribuisce a generare il tasso di interesse.
Il primo mattoncino è rappresentato dal costo del denaro stabilito dal mercato. Questo tasso discende dalle decisioni delle autorità monetarie, in particolare dalla Banca Centrale, la quale muove le condizioni di base sulla scorta delle condizioni correnti: nelle fasi di maggiore difficoltà economica tende ad allentare i cordoni monetari, abbassando i tassi di interesse ed agevolando le operazioni di credito; viceversa, quando il ciclo economico è in espansione, il potenziale surriscaldamento del sistema e l’inflazione che ne potrebbe scaturire sono combattuti con un rialzo dei tassi di interesse, al fine appunto di frenare l’economia.
Questo primo mattoncino descrive dunque la base di ciascun rendimento, il “minimo sindacale” che ogni investitore dovrebbe incassare. In altri termini, esso descrive quello che in genere chiamiamo tasso “risk free” ed in finanza viene sovente misurato con il tasso IRS (interest rate swap).
C’è poi un secondo mattoncino, che non ha nulla a che vedere con il mercato nel suo complesso, con le condizioni del sistema economico e con le decisioni delle banche centrali. Al contrario, questa seconda parte di rendimento dipende dal soggetto specifico al quale si presta il denaro. Tanto più quest’ultimo sarà solido ed affidabile, tanto più il mattoncino di rendimento sarà piccolo, sottile, talvolta impercettibile; qualora invece il debitore fosse più traballante e fragile, egli sarebbe “costretto” a compensare questa debolezza strutturale con una maggiore remunerazione. Ecco allora che il mattoncino diventerebbe improvvisamente più grande, facendo di conseguenza lievitare il rendimento complessivo.
Questo secondo mattoncino, in termini più tecnici, rappresenta il premio per il rischio specifico o rischio di controparte, e comunemente viene chiamato spread.
Facciamo un esempio, prendendo una tipologia di investimento molto semplice e conosciuta: i titoli di stato italiani negli ultimi 15 anni.
Il rendimento del BTP è un tasso “finito”, che comprende entrambi i mattoncini di cui abbiamo parlato: dentro c’è infatti anche il rischio di controparte (lo Stato italiano). Diventa quindi interessante confrontare il tasso medio del BTP decennale con il tasso medio del solo “Mattoncino 1”, il tasso “risk free”(IRS) di pari durata. In tal modo possiamo capire come si è evoluto il “Mattoncino 2” e, quindi, il rischio Paese o spread (Fonte dati: MEF, elaborazione Ecomatica).
I dati sono interessanti. Dal 2004 al 2008 si evince un rischio di controparte pressoché nullo (nel 2007 era addirittura negativo). Dopo la Grande Crisi il “Mattoncino 2” prende forza, fino ad arrivare nel 2012 a quasi 400 punti base; successivamente regredisce (complice l’intervento della BCE, con il “Quantitative Easing”, a partire dal 2015) per poi tornare a salire negli ultimi due anni.
Quindi, nel concreto, cosa dovrebbe fare ogni investitore prima di farsi ammaliare dal tasso?
Dovrebbe semplicemente scomporlo, per capire se esso è generato perlopiù dal “Mattoncino 1” (mercato, ciclo economico nel suo complesso) ovvero dal “Mattoncino 2” (condizioni particolari del singolo debitore, spread”).
Prendere come riferimento il rendimento complessivo, senza fare una valutazione più analitica, può risultare pertanto non solo fuorviante, ma soprattutto dannoso.
Diversamente detto, prestare denaro ottenendo il 4% nel 2007 non equivale ad ottenere il medesimo rendimento nel 2017: è determinante riconoscere e quantificare di volta in volta la quota di rendimento derivante dal rischio specifico.
È questa che distingue, in sostanza, un investimento affidabile da un investimento pericoloso.
Investitore avvisato…